Letteratura

“Gli interessi in comune” di Vanni Santoni torna in libreria per Laterza

di Jacopo Nacci

Laterza riporta in libreria “Gli interessi in comune” di Vanni Santoni. Negli undici anni che sono trascorsi dalla sua prima comparsa, a opera di Feltrinelli, sono successe un sacco di cose – credo che Vanni direbbe che *abbiamo fatto* un sacco di cose, mentre per me va benissimo che *siano successe* un sacco di cose; in ogni caso scommetto che siamo entrambi molto contenti di queste cose che sono successe o che abbiamo fatto.
Quella che segue è la mia recensione della prima edizione de “Gli interessi in comune”; all’epoca scrivevo recensioni per L’Indice dei libri del mese, con nessuna competenza che non fosse un’attitudine fenomenologica vagamente psicotica (non che fino a ieri, nei libri e sulle riviste, abbia fatto qualcosa di diverso). Quando la scrissi ero uscito da poco dalla fase che i protagonisti del romanzo continueranno ad attraversare nell’eternità delle lettere; oggi ne sono ragionevolmente lontano, eppure è molto di ciò che ancora sono, è molto di ciò che alcuni di noi ancora sono.

L’iniziazione permanente. Su “Gli interessi in comune” di Vanni Santoni

Dove si raccontano dieci anni di scorribande, consuetudini e azzardi di sei ragazzi del Valdarno; il filo conduttore – l’interesse in comune – è l’uso di qualsiasi sostanza stupefacente si riesca a trovare. Romanzo a ritmica sovrapposta – drum’n’bass, verrebbe da dire – Gli interessi in comune esibisce in superficie l’immediatezza delle scene spietatamente esilaranti, ritrae i protagonisti mentre sono fuori dal controllo e navigano a vista, circondati da figure archetipiche come il Torcia, il Pelle, Barbazza e MasterKeta, immersi in sequenze lisergiche tra ermafroditi nella culla, soggetti che basculano sui guardrail o sono còlti da bad trip nel centro di Firenze.

Sul fondo, però, scorre un altro ritmo, come un fiume lento e fangoso. Perché qui non ci si nasconde che questi ragazzi, al di là dei suddetti interessi in comune, abbiano spesso ben poco da dirsi. E malgrado l’affetto reciproco, che c’è ed è forte, la sensazione è che di dirsi qualcosa non abbiano nemmeno troppa voglia. Della mancanza di una cultura o di un sentire condiviso sembrano peraltro pienamente coscienti: persino il loro manifesto generazionale – una miscellanea di tic verbali e mentali catalogati nell’arco di anni – non è che il manifesto dell’impossibilità di un manifesto. Infine, nemmeno nella droga sembrano cercare l’aggregazione, come vorrebbe una vetusta credenza: al contrario, sembrano aggregarsi per trovare e consumare sostanze; anzi: i personaggi che nel romanzo non agiscono da psiconauti, e usano effettivamente le sostanze non come fini bensì come mezzi di aggregazione, finiscono male. Il che contribuisce ad ammantare di un’aura sacrale la sostanza stessa, la sua ricerca, il suo uso. Un’aura sacrale che richiama la funzione svolta dalle sostanze psicoattive nei riti di iniziazione, funzione ignorata o nominata fino allo svuotamento di significato da parte della subcultura dello sballo che circonda i protagonisti, ma tenuta nella massima considerazione dai nostri psiconauti del Valdarno.

Del resto, la costante evocazione del rito di passaggio, se connessa a questa interminabile adolescenza che pare una sospensione del tempo e dell’età, non può non far pensare a un tentativo autonomo di accedere alla maturità e sancire la transizione; tentativo destinato a essere reiterato compulsivamente, privato com’è di un riconoscimento da parte del resto del mondo, il quale ne nega la validità rituale, non a caso i protagonisti si richiamano a civiltà scomparse; tentativo che forse viene reiterato, alla fine, proprio in virtù del suo ormai noto fallimento intrinseco, in un circolo dove l’indulgere nelle abitudini dell’adolescenza e la paura di non essere attrezzati alla vita adulta si alimentano a vicenda. «Perché, vedi, noi psiconauti…» fa Iacopo. «Stiamo attenti a non diventare psiconaufraghi» avverte il Mella. Alla fine è la vita a raggiungere i protagonisti: se sia passata o no per i sentieri sui quali loro la avevano inseguita, è considerazione lasciata al lettore. Ciò che pare probabile è che da quei tentativi di afferrarla, che forse per un po’ l’hanno addirittura allontanata, essa trarrà i costumi di una nuova umanità.

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