di Corrado Premuda

“Quando ci portiamo in patria una di queste ragazze, lei si troverà spaesata nelle nostre squallide cittadine del Kansas o dell’Ohio o del Michigan, e penserà a Trieste, e solo il nome di Trieste la farà piangere di nostalgia. Diana finirà per sposare uno del suo paese e starà molto meglio.” Il maggiore Holbes cerca di rinfrancare così Kirk Mesana, l’agente americano che negli anni del secondo dopoguerra, quando Trieste è retta dal Governo militare alleato anglo-americano, si trova nella città giuliana invischiato in una lotta spietata tra servizi segreti occidentali e pericolose spie russe e jugoslave. Kirk è stato vittima di un agguato nel quale tutti pensano che sia rimasto ucciso. E gli americani vogliono far credere questa versione in modo da non mandare a monte l’importante missione. Il problema è che Kirk nel frattempo si è innamorato, ricambiato, di una ragazza triestina, Diana, ma deve rinunciare a lei anche per salvarle la vita. Così la vicenda inizia coi toni cupi di una coppia che viene separata con la forza e con lei che crede morto il suo amante. “Appuntamento a Trieste” è un romanzo che Giorgio Scerbanenco scrisse nel 1952 e che venne pubblicato prima a puntate sulla rivista letteraria Novella e l’anno seguente da Rizzoli.
Come molti altri libri dell’autore di origine ucraina, è stato ripubblicato a più riprese e ora esce in una nuova edizione per La Nave di Teseo (pagg. 300, euro 17) nella collana Oceani. Nel romanzo le caratteristiche che hanno reso popolare Scerbanenco ci sono tutte. Innanzitutto una mescolanza di generi, la spy story arricchita dal racconto rosa e dal giallo classico, una scrittura che se da un parte è quasi ingenua dall’altra è efficace, antiletteraria e veloce, ricca di dettagli e di dialoghi allestiti in modo da catturare l’attenzione del lettore. I personaggi ben dipinti e caratterizzati: Kirk, tormentato, fedele alla missione che deve compiere ma combattuto a causa dell’amore; Diana, prototipo delle eroine di Scerbanenco, determinata e fragile; Riccardo, l’ambiguo amico d’infanzia di lei che da sempre ne è invaghito, e via via tutti gli altri. Interessante anche il ritratto di Trieste colta negli anni della guerra fredda, quando la cortina di ferro passava proprio per il suo confine, ai tempi della zona A e della zona B amministrate militarmente dalle potenze straniere con la questione dell’Istria ancora tutta ingarbugliata e piena di dubbi. La città che descrive Scerbanenco è quella delle rive e di via Battisti in cui si trova la cartoleria in cui lavora Diana, quella dell’hotel Savoia scenario di incontri e intrighi e del bar Mario in via Carducci in cui sono i soldati alleati a fare bisboccia entrando in contatto, o in contrasto, con i triestini. Il clima è quello di un posto di confine, pieno di movimenti sospetti e di gruppi rivali che si affrontano, un posto molto caratterizzato nel suo essere speciale e diverso dal resto dell’Italia di metà Novecento.

E poi c’è il mare. Al nostro golfo l’autore riserva righe dense e ispirate, come queste: “Non era soltanto un mare: era una persona. Più in là, oltre Miramare, non era che un mare, ma lì, nel chiuso del golfo davanti alla città, era una persona, qualche cosa che aveva un’anima. Si poteva parlare col mare, diceva Kirk, e restava la sensazione di essere ascoltati.” Scerbanenco, uno dei primi scrittori in Italia a confrontarsi con i gusti di un pubblico di massa, confeziona una robusta storia nera in cui trovano spazio sentimenti e valori e in cui i personaggi buoni, tenuti in scacco, subiscono eventi pericolosi più grandi di loro. Anche se i suoi romanzi migliori, e con essi i premi e i riconoscimenti anche a livello internazionale, arriveranno più tardi, negli anni Sessanta, già qui Scerbanenco si rivela essere un prodigioso narratore di storie, abile nell’intervallare battute efficaci a una sintassi spezzata e ad avvincere chi legge rovesciandone le aspettative.