di Corrado Premuda

Drammatico, parodistico, sentimentale, commovente, caotico. Gli aggettivi per descrivere il romanzo capolavoro di James Joyce potrebbero essere infiniti, come infinita può apparire la lettura di un libro di cui si parla sempre molto ma che, per intero, non sono in molti ad aver letto. Ma “Ulisse” fornisce di continuo anche spunti di riflessione e ispirazioni di vario tipo e in prossimità del Bloomsday, festeggiato in varie parti del mondo, compaiono testi e materiali che ruotano attorno all’ebreo irlandese protagonista dell’avventura. Esce in questi giorni “Divagazioni gastronomiche sull’Ulisse di Joyce” (Luoghi Editrice, pp. 54, euro 10), un libro scritto e illustrato dalla storica triestina Martina Tommasi che parte dal commento al capitolo 14 del romanzo, un commento che si muove attraverso i cibi menzionati da Joyce e la storia dell’alimentazione. Il capitolo in questione si intitola “Le mandrie del Sole” e si svolge in una clinica ostetrica in cui Bloom, Stephen e un gruppo di studenti di medicina commentano le doglie di Mrs. Purefoy.
Il filo conduttore del testo di Martina Tommasi diventa così quello della procreazione, del parto e dell’allattamento. Nel parallelismo con l’“Odissea”, Joyce sceglie nel capitolo 14 il fil rouge delle mandrie care al dio del Sole, simbolo di fecondità: chi meglio di una vacca rappresenta il tema della maternità? L’idea del libro scatta nell’autrice triestina dopo aver scritto tre anni fa il reading con degustazione “Aspettando il Bloomsday”, un appuntamento in cui lei raccontava la storia dei cibi offerti agli ospiti nel romanzo di Joyce e Stefano Dongetti leggeva alcuni brani. Ma la passione per “Ulisse” nasce all’università: “Grazie all’esame di letteratura inglese”, racconta Martina Tommasi, “mi sono avvicinata al romanzo, poi però la vita mi ha portata a occuparmi di storia dell’alimentazione. Così ho deciso di unire il mio interesse di lettrice con quello professionale e ho pensato di scrivere questo pamphlet. Mi sono divertita molto: c’è chi si diverte col sudoku, io preferisco decifrare Joyce. La cosa mi ha talmente coinvolto che mi piacerebbe portare avanti la compilazione degli altri capitoli di “Ulisse” su questa falsariga, magari con una collana appositamente dedicata. Anche i disegni sono miei ma non sono un’illustratrice, questo resta solo un gioco.” Pare che lo stesso Joyce reputasse questo capitolo 14 il più complesso dell’opera, sia dal punto di vista della lettura che della stesura, e molto probabilmente anche da quello della gestione emotiva. La scena si sviluppa fra le dieci e le undici di notte del 16 giugno 1904, momento in cui Leopold Bloom, dopo aver girovagato tutto il giorno, decide di andare in ospedale per avere notizie di un’amica, Mrs. Mina Purefoy, in travaglio da tre giorni. Orario curiosamente inconsueto che offre comunque l’occasione di riflettere sull’arcano tema della gravidanza in tutti i suoi aspetti: il concepimento, l’aborto, il coito interrotto, la determinazione del sesso del nascituro, il dolore del parto e la mortalità neonatale.
Bloom viene letteralmente fagocitato al piano inferiore dell’ospedale dove si tiene un vero e proprio simposio di uomini dotti e ubriachi che discutono sulle tematiche della procreazione e della maternità, ponendo particolare attenzione al tema dell’aborto terapeutico. Nel testo Martina Tommasi scrive di mele e idromele, di uova e di assenzio, e descrive le libagioni legate al mito omerico a cui Joyce si riferisce, in particolare a quando i compagni di Ulisse, approdati all’isola di Trinacria, sacrificano gli armenti per cibarsi e per questo vengono mortalmente puniti. Non mancano pagine sulla dieta puerperale e sul nutrimento primigenio. Martina Tommasi si occupa delle tematiche relative alla storia dell’alimentazione e delle donne; fra le sue pubblicazioni “Borderwine – I pionieri del vino in Friuli Venezia Giulia” e “Pierabech. Ricette dalla colonia”.