di Luca Bottura

Il trentennale dei Mondiali italiani, le cui grandi opere sono in fase di completamento, ha dato la stura a un turbinio di celebrazioni nostalgiche dei tempi in cui quando c’era lui (Bettino) caro lei, eccetera. Comprensibile: eravamo tutti più giovani e la nostalgia muta gli spigoli in curve, le tangenti in mance, gli Schillaci in… no, Schillaci resta spiritato anche a distanza di tempo. Vale tutto. Però, ecco, la sigla no. Cioè, da fan sfegatato di Edoardo Bennato, da cultore dei suoi brani, da profondo conoscitore della sua vis polemica anarchica, da karaokista acrobatico che potrebbe eseguirne il repertorio completo, da “Un giorno credi” a “Wanna Marchi libera”… quella no. Che poi l’ottimo Edo la racconti in mille interviste come una perla espunta a fatica, che – giustamente – lasci all’oblio altri brani sintonizzati con lo spirito del tempo (“Ok Italia”, per dire, ma anche “È gol” che faceva da sigla alla Domenica Sportiva) è del tutto comprensibile. Erano i giorni in cui non ci si poteva non dire craxiani. Frequentare il diavolo era un modo di raccontarlo.
Ma “Notti Magiche” come simbolo di un’era spensierata, ecco, no. Perché il passo successivo è che si stava meglio quando si stava peggio. Invece, stiamo peggio perché stavamo maluccio allora. Inseguendo un gol. Vagheggiando un golpe. Quello che abbiamo dentro, da sempre, turisti della democrazia che non siamo altro.
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Repost dall’articolo de L’Espresso del 16 giugno 2020