
Jan Vermeer, pittore olandese vissuto tra 1632 e 1676, ha raggiunto fama e popolarità grazie al meraviglioso dipinto “Ragazza col turbante”, oggi meglio conosciuto con il nome “La ragazza con l’orecchino di perla”. La giovane raffigurata nel ritratto compare, ormai, stampata su borse, tazze, poster ed è ben nota anche a chi non si interessa d’arte. Definita la Monna Lisa olandese, con il suo charme indiscusso, ha donato grande notorietà al suo ideatore, oggi uno degli artisti più famosi e apprezzati dei Paesi Bassi.
Di lei conosciamo ben poco, solo un volto, un sorriso, due occhi che ci guardano senza timidezza, elementi che concorrono a creare una misteriosa bellezza, una fascinazione a cui è impossibile sottrarsi. Probabilmente, è stato proprio questo mistero riguardo alla ragazza ritratta a far nascere un così grande interesse per il dipinto, tanto che persino Tracy Chevalier, autrice del best seller “La ragazza con l’orecchino di perla” afferma di essere terrorizzata all’idea che possa riemergere dal passato un qualsiasi elemento, anche solo una semplice lettera al fornaio collezionista dei quadri di Vermeer, che riveli l’identità della modella, ponendo, così, fine a tutte le fantasiose e innumerevoli speculazioni in merito.
Se è vero che Jan Vermeer non vanta una produzione molto numerosa di opere, circa quaranta, è altresì vero che “Ragazza col turbante” non è il suo unico capolavoro ad avere come protagonista una donna. Il pittore olandese amava, infatti, dipingere figure femminili, spesso usando come muse sua moglie e le sue figlie. Ragazze, donne, esponenti dell’alta borghesia di Delft e dintorni, ma anche cuoche e domestiche, affollano le sue tele, le popolano con le loro storie e le loro emozioni, con i loro gesti quotidiani e i loro volti espressivi, facendoci viaggiare con la fantasia nel tentativo di ricreare ciò che nel dipinto è semplicemente accennato. Ed è proprio questo alone di mistero a rendere la sua produzione artistica estremamente innovativa: era, infatti, uso dell’epoca dipingere raccontando una storia, ricreando su tela un aneddoto ben definito e di immediata comprensione. Un esempio su tutti è dato da “Lezione di anatomia del dottor Tulp”, opera di Rembrandt: guardandolo, è come se si partecipasse alla lezione, le gerarchie sono chiare, si individua subito uno dei maggiori luminari della medicina del tempo e l’argomento che sta trattando, la nostra immaginazione è chiamata a fare ben poco. Diversamente, nei quadri di Vermeer tutto si svolge in un’atmosfera silenziosa e sospesa, dove un gesto quotidiano ci invoglia a indagare l’animo del protagonista.

Questa caratteristica è riscontrabile sin dall’opera “Donna che legge una lettera davanti alla finestra” (1657 circa), in cui è raffigurata una ragazza, d’identità per noi sconosciuta, colta nel gesto intimo di leggere una missiva appena arrivata, godendo della fredda luce del Nord che entra da una finestra sulla sinistra della tela. La lettrice è in secondo piano, seminascosta da un tendaggio verde sulla destra e da un tavolino davanti a lei; eppure, con il suo volto concentrato e teso nell’atto del leggere, occupa tutta la nostra attenzione. Chissà chi le ha scritto, se le ha inviato parole d’amore o se, forse, la sta solo informando dello stato di salute di un familiare. Di certo, la sua espressione è volontariamente messa in risalto dal pittore, che, dietro al suo viso, crea ombre bluastre su cui si staglia il bianco dell’incarnato e un impercettibile sorriso, in grado di trasmetterci tutta l’emozione che sta provando.

Quasi tre secoli dopo, Ambrose Bierce, in “Dizionario del diavolo” (1911), scriverà: “Busta. È la bara di un documento, il fodero per una fattura, il guscio di un mandato di pagamento e la camicia da notte di una lettera d’amore.” Ammirando “Donna che legge una lettera davanti alla finestra” , non si può non cogliere la sensazione di intensa intimità suggerita dalla chiosa finale dello scrittore statunitense, la stessa atmosfera che ritroviamo in altri quadri di Vermeer che hanno un tema epistolare: penso, ad esempio, a “Donna in azzurro che legge una lettera” o, ancora, a “Fantesca che porge una lettera alla signora”. In particolare, in quest’ultima tela, datata 1667 e attualmente conservata presso la Frick Collection di New York, la composizione si fa più complessa: l’artista ci presenta, infatti, due figure, quella di una signora dell’alta borghesia, in primo piano, che indossa con eleganza uno sfarzoso abito giallo con intarsi in pelliccia, e quella di una domestica. Quest’ultima sta porgendo alla sua padrona una lettera appena giunta e sembra essere consapevole dell’importanza del suo gesto, come ci suggerisce il fatto che sia stata raffigurata con la bocca semiaperta, colta nell’atto di accompagnare e sottolineare, con le proprie parole, una consegna tanto attesa. La centralità della lettera viene ulteriormente sottolineata dall’atteggiamento della ricevente, che interrompe l’attività della scrittura e si volta verso la fantesca con un’espressione di evidente stupore. Il fatto che nessuna delle due donne stia guardando lo spettatore, concorre a creare un’atmosfera di intensa e intima complicità. Noi siamo impossibilitati a sentirci coinvolti in ciò che sta accadendo, avvertiamo con forza la distanza che ci separa dalle due protagoniste del dipinto ma proviamo il piacere, quasi voyeuristico, di spiare, senza essere visti, la loro quiete familiare.
Vermeer ci offre dipinti che hanno un’insolita somiglianza con le fotografie del giorno d’oggi: scene spiate, rubate, protagonisti che non ci prestano attenzione, zone di contorno quasi offuscate, proprio come se la scena fosse vista attraverso un obiettivo, focalizzato sulla parte centrale della raffigurazione. Questo è possibile grazie alla tecnica pittorica della camera oscura, che il pittore utilizza non solo quando dipinge scene domestiche altoborghesi, ma anche quando ci presenta donne di più umili origini concentrate sul loro lavoro quotidiano. Tra i quadri appartenenti a quest’ultima categoria, senz’altro spicca per notorietà “La lattaia” ( 1658-1660): protagonista della tela è una semplice lattaia, colta nel gesto quotidiano di travasare del latte. La scena è estremamente realistica, con grande cura nella realizzazione dei dettagli, come la veste della donna o la parete scrostata sullo sfondo, che presenta, persino, un chiodo inutilizzato. Le consistenze diverse dei differenti oggetti vengono rese tramite l’alternanza di pennellate lisce a tratti dipinti con la tecnica pointillé, i colori accesi della veste contrastano con il bianco del latte, creando un concerto cromatico di perfetta fusione tra le note di colore, senza alcuna prevalenza di una tonalità sulle altre. Il tutto concorre a ricreare un’ambientazione calda e silenziosa, quasi meditativa, in cui un gesto quotidiano si avvicina quanto mai allo svolgimento di un rituale.

Meno famoso, ma assai affascinante è il dipinto “La merlettaia” (1669-1670). In esso troviamo raffigurata una giovane donna, probabilmente membro dell’alta borghesia, intenta a realizzare un merletto con la macchina da cucire. Anche in questo caso, l’attenzione della giovane è completamente assorbita dall’attività che sta svolgendo, il suo sguardo non incontra quello dell’osservatore, ma è abbassato verso il merletto, con un atteggiamento pudico e concentrato. Vermeer, qui, non si limita a fotografare una scena, ma rende immortale su tela tutto un insieme di valori propri della sua epoca: la pudicizia, l’importanza dell’attività domestica come prevenzione contro l’immoralità del mondo esterno, il valore della semplicità, suggeritoci dall’ambiente spoglio in cui si svolge la scena.
Ci si potrebbe domandare cosa renda “la merlettaia” tanto più interessante di altri dipinti simili, prodotti sempre da Vermeer. Ebbene, esso ci consente di effettuare un interessante confronto con un pittore di inizi Novecento: Edward Hopper. Quest’ultimo, infatti, nel 1921, diede vita al quadro “Ragazza alla macchina da cucire”: in un’atmosfera calda, data dai toni di arancio e marrone dello sfondo, ci viene presentata una giovane donna, vestita con una semplice sottoveste, che, nell’ambiente intimo della sua camera da letto, è concentrata nell’atto di cucire. La ragazza in questione ci appare sicuramente meno curata della sua antenata, sia a causa dell’abbigliamento sia per i capelli arruffati, ma, come la fanciulla di Vermeer, la sua attenzione è completamente rapita dal lavoro e l’osservatore non è chiamato a partecipare a questo suo intimo momento se non in qualità di spia. Certo, dal 1600 al 1900, usi e costumi subiscono un’evoluzione tale da non consentire alle due raffigurazioni di essere simili in toto, ma ad accomunarle è la forte volontà di entrambi i pittori di regalarci una rappresentazione aderente alla realtà del loro tempo: entrambi non ci vogliono donare un dipinto di posa, ma un attimo di verità rubata, entrambi sembrano impugnare un pennello quanto mai simile a una moderna macchina fotografica.

“Ragazza col turbante” non perderà mai il suo fascino, quello sguardo continuerà ad ammaliare chiunque le si troverà davanti, il suo nome sarà sempre e imprescindibilmente legato a quello di Jan Vermeer e questo dipinto sarà quello che darà eterna fama a uno dei più grandi ritrattisti di tutti i tempi. Tuttavia, è con le sue altre opere, quelle delle donne intimamente raffigurate nel loro ambiente domestico e quelle concentrate nello svolgimento delle loro mansioni quotidiane, che la poetica dell’olandese supererà i propri limiti, portandolo a essere uno dei più grandi pittori della realtà del suo tempo.