a cura de Il verbo leggere

Quando lei era buona (Einaudi, 2012), il terzo romanzo di Philip Roth, è una tragedia in tre atti. Lucy Nelson, l’unica protagonista femminile partorita dalla penna del compianto scrittore, è condannato allo scacco: come altri suoi fratelli d’inchiostro, si illude di poter sfuggire al fato, ma è destinata a fallire il bersaglio, a rimanere vittima di un circolo vizioso di errori.
Siamo negli anni ’40, in una cittadina del Midwest: la giovane Lucy non vede l’ora di iniziare il college e di lasciarsi alle spalle un’infanzia infelice. La ragazza ha l’impressione di essere l’unica persona dotata di buon senso della sua famiglia: suo padre, un alcolista recidivo, continua a promettere di cambiare, ma sembra cambiare solo in peggio; sua madre si ostina ad amare un marito irredimibile; il nonno è troppo remissivo e permissivo; la nonna si preoccupa solo di sé stessa.
Quando era ancora una bambina, Lucy ha puntato il dito contro quegli adulti incapaci di essere “buoni” e ha provato a cambiare le cose: ha fatto arrestare suo padre. Nulla è cambiato: suo papà ha continuato a commettere gli stessi errori, a vivere come un “parassita” alle spalle di suo suocero. La ragazzina non è mai riuscita a perdonare la “vigliaccheria” dei suoi familiari, la loro incapacità di fare fronte alle proprie debolezze: di anno in anno, ha continuato ad accumulare rancore e ad estraniarsi sempre di più dai suoi parenti.
Ora Lucy ha l’opportunità di tagliare i ponti con il passato e di posare i primi mattoni della sua futura felicità. Purtroppo, un ostacolo si frappone fra la fanciulla e la realizzazione dei suoi sogni: l’inetto, ma belloccio, Roy. Roy le chiede di fidarsi di lui e di “andare sino in fondo”. Lucy, invece, dopo un’iniziale sbandata, pensa di mollarlo alla prima occasione utile, però continua a tentennare. […]
Quando lei era buona – Il verbo leggere