Cultura Letteratura

Virginia Woolf in translation: a proposito di sviste

Nadia Fusini, esperta traduttrice di letteratura anglosassone, ribadisce in un suo recente post social l'errore più grave inflitto alla produzione letteraria di Virginia Woolf.

di Nadia Fusini

Perché noi woolfiane e woolfiani leggiamo? Leggiamo forse per istruirci? No, non proprio… Noi amiamo anche gli ignoranti, senz’altro più dei saccenti. Per farci belli e belle? No, non siamo così vanitosi. Per essere al corrente di quel che bolle in pentola? No, non ci interessa la bolla editoriale e siamo ben consapevoli che gli editori, anche i migliori, per ragioni aziendali, sono pronti a riempire gli scaffali delle librerie di roba mediocre, che chiamano romanzi. Noi leggiamo e rileggiamo perché crediamo nel valore della parola umana. Ce l’ha insegnato Virginia Woolf. La parola di un’artista come lei è ricca e nutriente, ma bisogna saperla rispettare. E non confondere e non fare di tutta l’erba un fascio.

In questa attenzione alla parola, consiste la vera filologia. Ma c’è stata e c’è da parte dell’industria editoriale una colpevole condiscendenza a criteri di mercato, che prevalgono con strane usanze, come quelle di cambiare i titoli dei romanzi. Quasi che il titolo non facesse parte dello sforzo creativo dell’artista e dell’opera stessa. Così, lo sapete, c’è ancora chi parla di “Gita al Faro”, invece che di AL Faro. Scelta che di certo non fece Giulia Celenza, la quale nel 1934 tradusse in italiano il mirabile romanzo, ma fu senz’altro l’editore a decidere quel titolo, pensando che Al Faro fosse un titolo troppo astratto, mentre Gita al Faro dava il senso di una trama, insomma si trattava di andare o meno in gita… In fondo, nei romanzi tradizionali, deve pur succedere qualcosa… E siccome il solerte ufficio stampa e l’accorto editore vogliono che un libro ‘venda’, che altro?, sono pronti ad alterare… La logica è di mercato, chi se ne vergogna? Che importa, poi, se chi ha scritto il romanzo ha proclamato in modo esplicito e appassionato che è un’altra la sua idea di scrittura? e nel suo caso Virginia Woolf l’ha dichiarato: lei non ‘scrive’ a trama, non è l’intreccio che conta…

Rimane che è un errore chiamare “To the Lighthouse” in quel modo. Non è quello il suo nome, non così ha battezzato la sua creatura Virginia. Per lei quel libro non è un romanzo: è una elegia al Faro, appunto. Il segno di una ostinata perseveranza nell’errore, naturalmente preoccupa. Perché, vedete, se esiste la filologia, non vale solo per i testi antichi, ma anche per i testi moderni, per i classici. E praticare la filologia vuol dire rispettare un testo, a cominciare dal titolo. Siete d’accordo?

1 comment

  1. Il testo andrebbe sempre rispettato, ma, si sa, il titolo italiano deve strizzare l’occhio al pubblico: le esigenze commerciali vengono prima di tutto.
    Scavando negli archivi, sono sicura che verrebbero alla luce altre “infedeltà” all’originale. La filologia, purtroppo, è considerata come una materia ormai inutile e “polverosa”.
    Grazie per questi interessanti spunti di riflessione!

    Piace a 1 persona

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