Letteratura

Virginia Woolf, eretica sì, snob no

Virginia Woolf gioca con brio e con gusto la parte di snob, ma non lo è. È un’eretica. Nel senso in cui usa la parola Jane Harrison, la studiosa del mondo antico, la cui ombra intravede sui prati solenni dei college di Cambridge.

di Nadia Fusini

Virginia Woolf è spesso imputata di ‘snobismo’. In realtà, è lei stessa ad accusarsi di tale, per niente elegante , anzi volgare, benché veniale, peccatuccio. Sono una snob? si chiede a voce alta in una riunione degli amici del Memoir Club, in una data imprecisata tra l’ottobre 1936 e il febbraio 1937. E risponde di sì. Ma scherza. Per chi non l’intenda, spieghiamo.

Virginia gioca con brio e con gusto quella parte, ma non è una snob. È un’eretica. Nel senso preciso in cui usa la parola Jane Harrison, la studiosa del mondo antico, la cui ombra intravede sui prati solenni dei college di Cambridge, quando va a Newnham e Girton, scuole esclusivamente femminili, dove terrà la conferenza sulle donne e il romanzo, che diventerà poi il cuore di quello splendido saggio che è Una stanza tutta per sé, la nostra Bibbia. Jane è appena morta, e con gratitudine e affetto Virginia pensa a lei. A quante cose le ha insegnato la maestra sublime, che conosce a fondo quella lingua e quella cultura di cui è avida – ovvero, la lingua greca e il mondo greco, che come sappiamo la affascinano. E siccome per ragioni di discriminazione di genere (è proprio il caso di dirlo) non ha potuto frequentare le scuole prestigiose in cui quella lingua si insegna, prende lezioni private di greco, e legge. Legge Harrison, la quale legge lei, i suoi romanzi, che la incantano.

È Jane Harrison che le insegna a riflettere sulla parola ‘eresia’, in un piccolo pamphlet del 1911 dal significativo titolo Heresy and Humanity – dove eresia e umanità finiscono per coincidere: come dire, la piena umanità la si conquista con l’esercizio della libera scelta, pensando in autonomia, ognuno con la propria testa. Nella parola ‘eresia’, come non sentire oggi l’emozione del riverbero delle fiamme che si levavano dalle pire di Smithfield, dove si bruciavano per l’appunto gli eretici? medita Harrison. Ma in origine in quella parola si esprimeva la bellezza dell’elezione, l’energia viva del pensiero. Non è forse tremendo, che da un certo momento in poi alla parola ‘eresia’ venga associata l’idea di “dannazione”, e l’aggettivo ‘eretico’ individui una creatura colpevole? Mentre appunto, essere ‘eretico’ è “quasi un obbligo morale”, insiste Harrison.

Virginia Woolf lesse con emozione quelle parole, le meditò. Come altrimenti avrebbe potuto scrivere Le Tre ghinee, il saggio che nel giugno del 1938 la consacrò ‘eretica’ al proprio stesso gruppo?

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