
“Sì. Sono un fantasma.” La risposta arriva in un sussurro di sabbie subsahariane che celano labbra ammutolite. Una pausa fredda come un agguato tra i picchi del Ras Dascian. Poi la voce spettrale ripete digrignando zanne di caberù. “Sono il tuo fantasma. Che annuncia il tuo destino.”
Il funzionario sembra rimpicciolirsi dentro gli orli madidi del suo blazer di rayon, lì nell’angolo più sporco del vicolo, dietro il Torrione X, il faro futurista dell’orda di grattacieli più alta del mondo. Il funzionario striscia intrappolato nell’oscurità lucida sotto quel porticato di zampe in cemento armato che lo inchiodano immobili, ombra dopo ombra. I miasmi della putrefazione dei rifiuti abbandonati sul selciato gli si attorcigliano alle narici come spire di piovre invisibili e nauseabonde. Il puzzo vomitevole della propria morte lo ricopre come un sudario di sabbie mobili tessutogli addosso da tentacolari scarabei imbalsamatori.
“Sono solo un agente di commercio… ti prego!…
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