Racconti

L’illustre cantante

"Di fronte all’invito che fare, si era chiesto per giorni l’illustre cantante, visti gli anni che non metteva piede a un evento mondano."

di Terry Passanisi

Il teatro avrebbe riaperto i battenti quel venerdì sera e, per l’inaugurazione, il direttore gli aveva fatto recapitare un invito di poltrona riservata. Caspita, erano stati gentili a ricordarsene. Di fronte all’invito che fare, si era chiesto per ore l’illustre cantante, visti gli anni che non metteva piede a un evento mondano. Sciolti gli ultimi dubbi nel caramello del whisky, aveva prenotato uno smoking alla sartoria a cui si rivolgeva un’amica ancora in voga. Rasata la barba dopo chissà quanto, dal barbiere di fiducia si era fatto tagliare i capelli come li portava in carriera. Niente metropolitana, stavolta: l’occasione meritava un taxi.

Prima di scoprire quanto davanti fosse il suo posto, risalendo la platea aveva controllato che l’auto, ripartita in derapata da una pozzanghera gonfia, non gli avesse inzaccherato le scarpe tirate a specchio; e si augurava che i fumi del chiosco di pane e salsiccia davanti all’ingresso, attraverso cui era dovuto filtrare, non gli avessero appestato l’abito. Era bello vedere palcoscenico e sala rianimati nei colori e nella forma, le gallerie e i palchi gremiti. Si guardava attorno, godendosi il brusio degli istanti che precedono ogni spettacolo, intento a scoprire quali teste impomatate o quanti colli ingioiellati poteva riconoscere. Aveva messo a fuoco un paio di signore in abito attillato sedute accanto a un grasso uomo in doppiopetto e, seppure sconosciuti, l’impressione era che fossero più importanti di quanto lui non fosse mai stato. La poltrona era in terza fila, con tutte quelle coppie giovani che lo precedevano per seduta e per importanza, e che l’avevano squadrato prima che prendesse posto; si sentiva uno qualunque. Non era soltanto l’impressione: nessuno l’aveva riconosciuto. Non avevano neanche provato a salutarlo, ad avvicinarlo. Neanche uno straccio di vecchio ammiratore, qualcuno che per pura curiosità gli chiedesse com’era che faceva quel pezzo. La pioggia ribatteva sulla volta in rame; e lui aveva alzato gli occhi col timore che il teatro fosse a cielo aperto.

Il presentatore aveva fatto la sua comparsa in frac blu elettrico e, dopo pochi convenevoli e qualche tiepida battuta, per dare il tono che l’inaugurazione meritava aveva sciorinato tutto un elenco di vip presenti, facendo tra gli ultimi il nome dell’illustre cantante; quest’ultima cosa era passata nel silenzio generale, forse un mormorio, un singolo applauso, avvilito, laggiù, a destra nel buio dei posti di quart’ordine; e il sorriso di circostanza dell’illustre cantante si era spento prima che lo sguardo s’affilasse per scrutare. Si chiedeva un’altra volta, visto che in passato ci aveva perso secoli di sonno, che cosa significassero ora la fama e la gloria di un tempo; se li avesse posseduti davvero, se non fossero stati un Eldorado di cartapesta, un Saloon cinematografico, una mignon di scotch; un tempo sempre acclamato, sempre aggrovigliato nei flash, annegato nelle lettere, nelle interviste, nei fiori, gli autografi, i drink, le amanti, gli amanti delle amanti, hotel di lusso, show planetari; dov’erano finiti? Come il denaro che, di certo, gonfiava il conto e il petto; ma dove li aveva spesi tutti quei soldi, non faceva che chiedersi dall’ultimo contratto? Gli sembrava di essere vittima di uno scherzo mal architettato, la persona sbagliata al posto di qualcuno che lo meritava di più. Anche sulla cresta dell’onda, ai premi, alle cene di gala, guardava le altre stelle, quelle che considerava legittime, con stima e ammirazione, e non credeva di farne parte; e più di qualche volta si era trattenuto solo all’ultimo dal chiedere un autografo a qualche vecchia star a cui s’ispirava. Quanti ricordi! Quando continuava a ripetersi di non avere un briciolo di quel che si chiama talento; fosse stato umile, almeno, si rimproverava, in una sorta di masochistica esagerazione. Uno scherzo, quel successo… e adesso quell’invito. Non gli era pesato il silenzio in sala, quel suono vuoto, come se tutti sapessero quanto, come artista, fosse stato sopravvalutato. Come se nessuno l’avesse mai sentito nominare, tra una musichetta e uno sketch, un rullo di tamburi e una battuta d’avanspettacolo, una sgambata di soubrette e un numero di magia. No, non gli era pesato, perché si consolava di avere ormai quell’età in cui non si vuole più apparire, non si vuol più essere corpo, poiché si è capaci di essere sola percezione, quel genere di comprensione che coglie l’anima delle cose, grazie a sensi sviluppati come non mai, seppure questi, pian piano, inizino ad atrofizzarsi, a dimenticare, infine a sparire.

D’un tratto, il presentatore si era proteso in avanti e, levato il cilindro in aria, aveva pronunciato al microfono ancora il suo nome, solo il suo, invitandolo sul palco; è un onore, incitava, il più grande, ripeteva. E un occhio di bue aveva investito l’illustre cantante facendo voltare tutte le teste del teatro in quella direzione. Applausi e cotillon adesso esplodevano: sì che aveva capito bene, ed era scattato in piedi a raccogliere l’ovazione e a ringraziare. Sul palco, sul palco, prego, rimbombava dagli altoparlanti. Una valletta s’era avvicinata e gli aveva sussurrato all’orecchio come raggiungere il proscenio. Emozionato dal clamore e dalla sorpresa, non confidava d’aver inteso bene le istruzioni e, provando a figurarsi il percorso come ai vecchi tempi, era entrato da una porticina sulla sinistra, tirando dritto per la lieve discesa di una ventina di metri, svoltando a destra, poi a sinistra e prendendo a destra e ancora a destra. A quel punto si sarebbe dovuto trovare di fronte una piccola rampa che risaliva dietro le quinte; invece c’era una doppia porta con il maniglione antipanico. Riallineato il papillon, stirato lo smoking, rispolverato il sorriso di circostanza, aveva spinto deciso ma, colto da bagliori freddi riverberati mille volte, s’era trovato in strada, una laterale mezza dissestata dai lavori in corso, la pioggia battente, con entrambe le caviglie in una pozzanghera.

L’uscita di sicurezza s’era richiusa alle sue spalle così velocemente e con un tonfo da mozzargli il fiato. L’illustre cantante aveva tirato su il risvolto della giacca, rassegnato, preparandosi per la lunga passeggiata verso casa, e aveva ritrovato la via principale seguendo quei fumi succulenti. Avuto il suo pane, salsiccia, cipolla e senape, prima che sparisse per sempre lungo la via, l’uomo del chiosco gli aveva chiesto com’era che faceva quel pezzo.


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