di Giuseppe Genna

Un artista e intellettuale, che non smetto di guardare con immensa ammirazione e acuta fraternità, è Tommaso Pincio, lo scrittore italiano contemporaneo che più stimo e più mi interroga, da anni, negli anni. Tra le vastità di cui è autore, c’è la traduzione, che gli è valsa il Premio Cesare Pavese 2021, con una motivazione che testimonia la complessità e l’amore e l’ossessione di questo grande poeta. Eccola:
“Tommaso Pincio incarna la figura dello scrittore-traduttore, proprio come Cesare Pavese. Come quest’ultimo si è dedicato in particolare alla letteratura anglo-americana, e sempre come Pavese ha avuto il privilegio di tradurre o ritradurre alcuni dei suoi autori prediletti, spesso curando anche la prefazione ai volumi. Come sappiamo, non sempre i due ruoli si integrano tra loro, e la forte personalità letteraria del traduttore-scrittore può fagocitare quella dell’autore straniero, che viene solo posto al servizio del primo, “usato”. Succede spesso, ma non nel caso di Tommaso Pincio. In lui i due ruoli si integrano così bene, da indurre a pensare che non potrebbero addirittura esistere l’uno senza l’altro. Che Pincio abbia una necessità propria, fondamentale, di rispettare la voce altrui.
«Per me il mestiere più simile alla traduzione è quello dell’attore. Le qualità con cui si misura una buona traduzione sono le stesse che determinano una buona interpretazione teatrale o cinematografica, a cominciare dalla principale: la naturalezza.»
Quando traduce, Pincio si cala nei panni dell’altro scrittore in uno sforzo consapevole e titanico di immedesimazione e auto-annullamento. Pincio non affronta (solo) un testo, ma una persona; vuole diventare l’altro e parlare con la sua voce: diventare il suo doppio. L’immagine del doppio non è nuova per descrivere l’ineffabile arte della traduzione, ma nel caso di Pincio ha una pregnanza particolare, perché riveste un ruolo centrale nel suo stesso essere scrittore, nella sua visione di se stesso e del proprio arco esistenziale. Il suo servirsi di un nom de plume ne è l’esempio più evidente. La lettura dei suoi libri ce lo conferma. E non è un caso che una qualche forma di doppiezza si ritrovi nella scrittura e nella vita degli autori del suo pantheon letterario, come Cheever, Kerouac, Dick, Fitzgerald, Orwell.
Accanto a questa impostazione concettuale c’è poi il risultato artistico. Pincio una volta ha detto: «Per me il mestiere più simile alla traduzione è quello dell’attore. Le qualità con cui si misura una buona traduzione sono le stesse che determinano una buona interpretazione teatrale o cinematografica, a cominciare dalla principale: la naturalezza.» E dunque: riesce Pincio nei suoi obiettivi? Riesce a diventare il doppio degli autori e a renderli con immediatezza e trasparenza? Ci riesce eccome. E poiché lo fa anche con grande talento letterario, come solo i veri scrittori sanno fare, e con piena comprensione del ruolo della traduzione, e con un’intelligenza critica fuori dal comune, e come se non bastasse con umiltà, a lui siamo felici di assegnare il Premio Pavese 2021 per la traduzione.”