
Il 9 luglio 1955 Albert Einstein, Nobel per la Fisica 1921, e Bertrand Russell, Nobel per la Letteratura 1950, presentarono a Londra una dichiarazione per il disarmo nucleare e per la scelta pacifista per l’umanità, sottoscritto da una decina di premi Nobel e intellettuali di prestigio dell’epoca: Max Born, Percy W. Blidgeman, Leopold Infeld, Frederic Joliot-Curie, Herman J. Muller, Linus Pauling, Cecil F. Powell, Joseph Rotblat e Hideki Yukawa. Quel documento nasceva da una situazione ormai considerata limite. Nel marzo 1954, infatti, gli USA avevano testato la bomba all’idrogeno nell’Oceano Pacifico, una bomba decine di volte più potente di quella sganciata su Hiroshima.
Ma forse quel che osta maggiormente alla piena comprensione della situazione è il termine “umanità”, che suona vago e astratto. La gente fa fatica ad immaginare che il pericolo riguarda le loro stesse persone, i loro figli e nipoti, e non solo un vago concetto di umanità.
In Inghilterra al professor Józef Rotblat, scienziato polacco che aveva abbandonato il Progetto Manhattan (programma di ricerca e sviluppo in ambito militare che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche durante la Seconda guerra mondiale), venne chiesto di parlare degli aspetti tecnici della bomba H, mentre l’arcivescovo di Canterbury e il filosofo Bertrand Russell avrebbero discusso di quelli morali. La bomba H, secondo Rotblat, avrebbe prodotto una quantità enorme di fallout (ricaduta radioattiva) altamente pericoloso e lo scienziato, futuro Nobel per la Pace 1995, si disse preoccupato delle conseguenze micidiali sugli esseri viventi, se tali bombe fossero state impiegate in un conflitto. Confidò queste sue preoccupazioni anche a Russell, i due consultarono alcuni fisici, tra cui Einstein, e si giunse alla stesura del documento noto come Manifesto Russell-Einstein (peraltro la firma su quello scritto fu l’ultima cosa che il Nobel tedesco fece prima di morire il 18 aprile 1955).

Il Manifesto contiene i seguenti passaggi chiave:
“Questo è dunque il problema che vi presentiamo, orrendo e terribile, ma non eludibile: metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? La gente non vuol affrontare questa dicotomia, perché abolire la guerra è difficile”.
“Ma forse quel che osta maggiormente alla piena comprensione della situazione è il termine “umanità”, che suona vago e astratto. La gente fa fatica ad immaginare che il pericolo riguarda le loro stesse persone, i loro figli e nipoti, e non solo un vago concetto di umanità. Essi faticano a comprendere che davvero essi stessi, ed i loro cari, corrono il rischio immediato di una mortale agonia”.
Ma che cosa è rimasto di quegli ideali? Gli errori sono dunque inutili? O forse chi vive il momento bellico non è in grado di mantenere la lucidità necessaria per capire quando è ora di rimettere in discussione la strada intrapresa?
“Vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e ragionare semplicemente, recita il trattato, in quanto membri di una specie biologica che rischia di estinguersi”.
La parola più audace e utopistica, nella frase che vi ho appena riportato, è l’uso del verbo “ragionare”. Cosa che non credo sia alla portata di tutti.