Cultura Fotografia

È nata prima la fotografia o lo shitstorming?

Quello che interessa in questo articolo è l’arte fotografica di Annie Leibovitz e il suo rapporto con la rappresentazione del potere. Che cosa, di questa rappresentazione, affascina la grande fotografa americana?

di Fabrizio Coscia

La First Lady ucraina, Olena Zelenska (Annie Leibovitz, 2022).

Non è la prima volta che Annie Leibovitz fotografa il potere. Nel 2002, alla vigilia della guerra in Iraq, realizzò un servizio fotografico per Vanity Fair su George Bush e i membri del suo governo nello studio ovale. Più volte ha ritratto la regina Elisabetta. Oggi per Vogue fotografa i coniugi Zelens’kyj. Ed è subito shitstorming. Come mai? Che cosa c’è di così urticante, scandaloso, vergognoso nelle foto del premier ucraino e della sua first lady? Il tono glamour e patinato? Il contrasto con la guerra che il loro Paese sta subendo? Non mi interessa molto il meccanismo che spinge i professionisti dell’indignazione a emettere i loro giudizi viscerali. Men che meno sono interessato ai moralisti e alle loro nevrosi. Mi domando, semmai, perché una minima parte di questa indignazione non venga indirizzata dalle stesse persone contro una guerra voluta, scatenata e ancora oggi proseguita da Putin.

Ma questo è un altro discorso, che non ho intenzione di approfondire. Quello che mi interessa, qui, è l’arte fotografica di Annie Leibovitz e il suo rapporto con la rappresentazione del potere. Che cosa, di questa rappresentazione, affascina la grande fotografa americana? Credo che sia la possibilità di svelarne il retroscena, per così dire. I detrattori compulsivi di Zelens’kyj, nella fretta di condannare il servizio fotografico, mi pare che non abbiano prestato nessuna attenzione a che cosa quel servizio raffiguri. Le foto di Leibovitz hanno spesso una sorta di tetraggine surrealista. Prendete proprio quelle della regina Elisabetta, ad esempio, scattate per il novantesimo compleanno della sovrana inglese. Gli ambienti sembrano gravare sulla figura, gli spazi incombono. Le luci e i colori sono quasi sempre freddi. Sono caratteristiche che si ritrovano anche nelle foto dei Zelens’kyj. Da un lato, abbiamo la volontà (e la vanità) – da parte del leader ucraino – di incarnare un modello di soft power, moderno, seduttivo, fascinoso, totalmente contrapposto al modello putiniano, quello ingessato della propaganda novecentesca delle sfilate e dei discorsi da stadio, per intenderci; dall’altro abbiamo lo sguardo della grande artista, che disvela l’essenza di quel potere, come facevano i grandi ritrattisti del Seicento che dipingevano i sovrani, solleticando il loro narcisismo e allo stesso tempo applicandosi a una feroce disanima e decostruzione della loro autorità.

La regina d’Inghilterra, Elisabetta II (Leibovitz, 2020)

Le foto in cui Olena Zelenska è senza il marito, ritraggono la donna in un set sfacciatamente teatrale, dove a dominare è la solitudine, lo smarrimento, accentuato dall’incongruo contrasto tra il suo cappotto e le divise delle soldatesse, sullo sfondo di una carcassa di aereo, in una; o tra la sua postura seduta, con i sacchi ammassati sullo sfondo, la colonna che incombe alle sue spalle e la lunga scalinata dietro di lei, in un’altra. In entrambe le foto la figura della donna risulta ridimensionata, schiacciata dalla scenografia, o involontariamente fuori posto. Ma le foto che la ritraggono con Zelens’kyj sono ancora più interessanti. La più postata, quella che li ritrae quasi abbracciati, o meglio con Zelens’kyj che la serra con un braccio, ha un tono addirittura livido. Il suo punctum, come direbbe Barthes, è la mano di Zelens’kyj che sembra artigliare il braccio della moglie, come se avesse paura di perderla, o piuttosto di perdersi, e dunque si tiene stretto a lei. Questa stessa mano la ritroviamo anche nell’altra foto, dove Zelens’kyj è seduto un po’ rigidamente su una poltrona e la moglie su una sedia accostata a un grande tavolo. Anche qui lo spazio sembra sproporzionato, dominante, e anche qui è lui a tenere stretta la mano della donna, ma stavolta tra di loro si apre uno spazio che sembra enorme.

Aung San Suu Kyi (Leibovitz, 2012)

Certo, c’è la guerra che incombe, la minaccia della distruzione e della morte. Ma non credo sia questo che lo sguardo della fotografa abbia voluto restituirci. Credo invece che Annie Leibovitz abbia voluto mostraci, ancora una volta, che il re (e la regina) sono nudi. Che il loro potere, anche quando, come in questo caso, vuole mostrarsi soft, li sovrasta, condannandoli alla solitudine, alla fragilità e alla paura.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: