di Sergio Valzania
La storia, triste, dei Melii è nota. Almeno come la racconta Tucidide nel celebre dialogo, riedito di recente da Marsilio con testo a fronte. In periodo di pace gli Ateniesi esigono dai Melii di entrare a far parte della lega di Delo, ossia di versare loro un contributo annuo. I Melii, di origine dorica e quindi affini agli Spartani, rifiutano e rivendicano il diritto alla neutralità. Gli Ateniesi attaccano e fanno un massacro. Il dialogo tucidideo è considerato un classico della contrapposizione fra etica e machiavellismo. Nel suo saggio introduttivo Luciano Canfora propone però una ricostruzione molto più filoateniese della vicenda. Sostiene infatti che i Melii facevano parte della coalizione ateniese e quindi il loro atteggiamento deve essere considerato una defezione, un tradimento. Questo spiega la violenza della reazione ateniese. Interessante, come sempre lo è Canfora, anche se questo saggio appartiene alla sua produzione dotta ed è quindi meno fruibile delle “Storie di Oligarchi” (Selleria) o di “Tucidide” (Editori Riuniti).
Sempre in argomento greco è uscito, e ho acquistato, Pericle di Atene e la Nascita della Democrazia di Donald Kagan (Mondadori). Raramente ho speso peggio il mio denaro. Non conosco la monumentale “Storia della Guerra del Peloponneso” scritta da Kagan, insegnante a Yale, come recita il rovescio di copertina. Mi auguro sia meglio di questo “Pericle”. Il biografo si è innamorato del biografato, o meglio della sua proiezione del biografato e utilizza, praticamente a caso, parole come democrazia, libertà, politica, riferendole ad un contesto nel quale avevano significati radicalmente diversi da quelli attuali. A ciò si aggiunge la pessima traduzione. A pagina 31 vengono chiamati meticci i Meteci, trasformando in caraibici i cittadini di Atene privi di diritti politici; a pagina 45 remare viene usato transitivamente: “remavano le navi”. Non sono andato oltre.
Invece mi è piaciuto molto I Quarantanove Gradini di Roberto Calasso (Adelphi). Anche se si tratta di una raccolta di prefazioni a volumi dell’Adelphi e dì articoli apparsi sul Corriere della Sera questo libro ha una solida omogeneità. In qualche modo ricorda il precedente di Calasso, “Le Nozze di Cadmo e Armonia” (Adelphi); se quello era un viaggio nella mitologia classica questo è una sorta di viaggio nella mitologia contemporanea, ossia nella cultura di lingua tedesca della prima metà del secolo. Un viaggio trasversale, che evita le tappe abituali e passa da Schreber a Walser, da Stirner a Wedekind. Ho trovato fra l’altro questa citazione da Benjamin: “Il gioco non è soltanto la via per diventare padroni delle terribili esperienze originarie attraverso lo smussamento, l’evocazione maliziosa e la parodia, ma per assaporare con la massima intensità, e sempre di nuovo, trionfi e vittorie”. Molto convincente. Ovviamente buona parte de I Quarantanove Gradini è dedicata al linguaggio, quest’essenza misteriosa che viene evocata per la prima Wittgenstein. Come ha opportunamente notato Guglielmi sulla Stampa, di recente è uscito un altro libro che si occupa, in maniera puntuale, ma non diretta, di linguaggio.
Si tratta di Le Sabbie Mobili, di Giuseppe Pontiggia (Il Mulino). Un volumetto di aforismi il cui senso rimanda ad una concezione unitaria se non proprio del mondo almeno del linguaggio, ovvero dell’unica sua rappresentazione all’interno della quale possiamo agire. Il segnale è chiaro: il linguaggio esiste e ci modella la vita più di quanto lo faccia quella che insistiamo a chiamare realtà del mondo. Quando i soldati diventano operatori di pace ci dev’essere qualche cosa che non va. Lettura molto divertente, purtroppo breve, ma il libro non è caro.
Divertente e non caro è anche Fuori Registro di Domenico Starnone (Feltrinelli), probabilmente non all’altezza del magistrale “Ex Cattedra” (adesso Feltrinelli, ma Il Manifesto in prima edizione), che resta una lettura altamente pedagogica per capire cosa sia realmente la scuola. E non solo in Italia. In più si ride.
Per gente solida consiglio invece Il Libro degli Altri (Einaudi), le lettere scritte da Italo Calvino in veste di dipendente della casa editrice Einaudi. Secondo me è un grande testo di storia culturale sull’Italia del dopoguerra. Impasto di intuizioni e assurdità, meschinerie e scelte azzeccate, agitarsi forsennato nel piccolo cortile della narrativa italiana, sbattendo spesso la testa in imposizioni ideologiche delle quali oggi ridono tutti.
Articolo apparso in origine sulla rivista Agonistika News di gennaio-marzo 1992
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